LUCERA – Sul quarto accapo dell’ultimo Consiglio Comunale, Approvazione progetto "Residenza Sanitaria Assistenziale Giovanni Paolo II” per anziano e disabili, proposto dalla Cooperativa Sociale San Riccardo Pampuri – ADOZIONE VARIANTE URBANISTICA AI SENSI DELL’ART. 16 DELLA L.R. N. 13/2001 e ss.mm.ii.", il primo a intervenire a seguito delle relazioni del sindaco Giuseppe Pitta e del dirigente architetto Antonio Lucera è stato il consigliere Francesco Di Battista. Quest’ultimo ha chiesto innanzitutto perché si intendesse fare relativamente a quell’argomento una variante e il Consiglio, infatti a dire del consigliere se nella sostanza si trattava di un cambio di destinazione d’uso della struttura in questione, non c’era la necessità di portare quell’accapo in Consiglio, pertanto a quel punto Di Battista riteneva che se quell’argomento era approdato in Consiglio vi fosse uno o più motivi ben precisi.
In effetti, come ha chiarito subito dopo nella sua risposta l’architetto, quando si era insediata quella struttura c’era già stato l’intervento del Consiglio, infatti vi era una convenzione e le convenzioni sono materia consiliare. Il Consiglio si era dunque pronunciato già in quell’occasione sulla destinazione d’uso di quell’immobile stabilendo che esso era destinato a essere centro commerciale, pertanto a parere di Lucera era necessario che il Consiglio si pronunciasse nuovamente sulla sua destinazione, anche perché il PUG non aveva fatto nient’altro che tipizzare quell’immobile come attrezzature esistenti pubbliche e private, quindi per quanto concerneva i locali oggetto di ritipizzazione e dunque di cambio di destinazione d’uso si trattava di servizi di quartiere più che altro privati. A proposito invece dell’aspetto, al quale si era fatto riferimento nel corso del precedente Consiglio, in base al quale non sarebbe stata necessaria una variante per aree destinate a servizi, Lucera ha spiegato che in quel caso, dati i presupposti precedentemente indicati dallo stesso architetto, tra i quali quello principale consisteva nella destinazione commerciale dell’immobile, un immobile ad uso commerciale appunto non poteva ritenersi un servizio pubblico nell’accezione definita dalla norma: per quel motivo era a suo dire il comma 3 dell’articolo 16 a dover essere applicato, cioè nel caso in cui le opere ricadessero su aree che negli strumenti urbanistici approvati non erano destinate a pubblici servizi, la deliberazione di Consiglio di approvazione del progetto costituiva allo stesso tempo adozione di variante.
A Di Battista pareva dunque di aver capito, in sostanza, che per poter rilasciare l’attestazione di conformità urbanistica l’architetto aveva bisogno che il Consiglio si pronunciasse sotto l’aspetto sia della necessità di ritipizzare sia delle convenzioni già esistenti, ma allo stesso tempo il consigliere non riusciva a comprendere perché vi fosse la necessità di mettere mano anche alle convenzioni, considerato che l’intero iter si sarebbe dovuto concludere con l’approvazione del progetto. Il dirigente ha però invitato Di Battista a non confondere la convenzione per il centro commerciale con quelle fatte per tutti i lotti della 167: «Il Consiglio si è pronunciato specificatamente per una destinazione commerciale di quell’immobile, quindi è essenziale che si pronunci ora su alcuni ambienti di quello stesso immobile». Ciò tuttavia era già chiaro al consigliere, ma la domanda che quest’ultimo si poneva era: «Siccome parliamo di una convenzione sottoscritta da due parti, cioè il Comune e all’epoca il soggetto attuatore, se modifichiamo oggi quella stessa convenzione, anche il soggetto attuatore dell’epoca dovrebbe sottoscriverla, altrimenti non riesco a comprendere perché ci sia questa necessità di modificarla, visto che ha già esaurito i suoi effetti». A dire del dirigente però essa non li aveva esauriti, in quanto si parlava soltanto di una parte dell’immobile e non dell’intero centro commerciale, pertanto il Consiglio avrebbe dovuto esprimersi nuovamente in relazione alle destinazioni d’uso di quell’immobile. «Quando lei fa riferimento alla convenzione – ha tuttavia insistito ancora Di Battista –, io mi pongo la domanda se andremo a modificarla unilateralmente». A quest’ultima richiesta l’architetto ha replicato assicurando che il soggetto attuatore aveva intanto già sottoscritto anche quel progetto accettando così automaticamente pure la relativa variante urbanistica.
Insomma i dubbi sollevati dal consigliere Di Battista riaprono certi ricordi urbanistici consumetisi nel recente e lontano passato in città e che hanno dato avvio a numerosi contenziosi. A cominciare dall'area Sacco per spostarsi a tutta la succosa collezione degli scempi della zona 167 e Lucera 2.
Greta Notarangelo