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Fernanda Toriello: «Per Liliana. Perché gli altri si mascherano, ma tu no»

«…Ed è così, civile, che volevi la tua Lucera, la Lucera che hai amato e che volevi libera dalle pastoie, dalle lobby, dal malaffare, dai soprusi, dagli imbrogli, dal “vivi e lascia vivere”».

LUCERA – «Di nuovo il triste innaturale rito degli anziani che piangono i più giovani. Ti ho vista, Liliana, venire al mondo e ti vedo lasciarlo: l’alfa e l’omega di una vita martoriata da una insana sanità. Fu un giorno di letizia, di grande festa quel 21 febbraio del ‘47. Era il coronamento del ritorno di nostro padre, un giovane alpino alto e fiero della sua penna sul cappello, reduce dalle sofferenze di una guerra sciagurata e dagli orrori del campo di concentramento. Quel giorno nascevi tu, “la figlia dell’amore” come subito ti chiamarono.

A noi bambini – Roberto ed io, e i cuginetti Aurora e Marcello De Vivo – ti annunciarono prelevandoci dalla scuola perché dal ballatoio di casa, al 16 di via San Domenico, dove siamo nati tutti, facessimo la tua conoscenza. La levatrice ti mostrò da dietro i vetri della finestra: eri una bambolina bellissima, come non ne ho viste mai più in tutta la mia vita, con una testa piena di capelli neri e ricci, pettinati a banana, come si usava allora. Incantavi tutti con la tua bellezza e la tua intelligenza.

E crescendo la tua bellezza cresceva, dentro e fuori. Ti rivedo giovane studentessa di medicina a Bari, nella casa accanto alla Residenza universitaria, 10 piani di ragazzi affacciati ai balconi che impazzivano quando passavi. E rivedo i tuoi tanti amici di quel tempo e le frequentazioni di personaggi con cui ti confrontavi tenendo testa a tutti – che si chiamassero Massimo D’Alema o Renato Guttuso o Raf Vallone o tanti altri ancora – in tutti i campi, dalla politica all'arte, al teatro, ma soprattutto la Politica, con la P maiuscola, intesa come servizio, rigorosamente come servizio per un ideale di armonia, di un mondo di rigore e di giustizia, un mondo di armonia sociale senza squilibri né disuguaglianze, di distribuzione equa e giusta delle risorse nella società. Una società civile nel dilagare crescente dell’inciviltà, della corsa alle ruberie, al malaffare, ai favoritismi, agli intrallazzi. Ed è così, civile, che volevi la tua Lucera, la Lucera che hai amato e che volevi libera dalle pastoie, dalle lobby, dal malaffare, dai soprusi, dagli imbrogli, dal “vivi e lascia vivere”. Utopia? Hai tentato di scuotere le coscienze, di mettere all’erta prevedendo con largo anticipo sviluppi negativi di situazioni dubbie che gli altri neppure percepivano. Ci speravi e hai portato a Lucera rappresentanti illustri della Politica pulita e della Giustizia giusta come Leoluca Orlando o Gherardo Colombo e tanti, tanti altri, per smuovere la palude, per recuperare la città al suo passato di centro di cultura, di piccola Oxford d’Italia, come mi è capitato di sentirla chiamare.

Come un rabdomante sente la presenza dell’acqua, così tu subodoravi la presenza del malaffare e lanciavi allarmi e mettevi in guardia, inascoltata Cassandra, finché il male si radicava e prendeva corpo, esplodeva, finalmente sotto gli occhi di tutti, ma ormai senza più rimedio.

Inflessibile, rigidamente, caparbiamente inflessibile con tutti ma soprattutto con te stessa, hai detto no ai facili accomodamenti, ai compromessi, anche quando a pagarne le spese, e duramente, eri tu, sempre e ancora tu, anche quando denunciavi i sepolcri imbiancati e li additavi al pubblico ludibrio e la gente reagiva nascondendo la testa nella sabbia, tirando a campare.

Eri troppa per questa terra angusta, eri troppa nel bene e nel male, per i nemici – tanti, dolorosamente accumulati – e per gli amici – pochi, faticosamente conquistati e orgogliosamente custoditi nel cuore e nella mente.

“I miei amici”, hai detto fino alla fine e gli occhi ti si illuminavano, “i miei amici” e la parola amico, così svilita e corrotta da usi impropri, sulle tue labbra riacquistava tutta la sua valenza di stima e di affetto.

Agli altri hai detto no, decisamente, tenacemente, testardamente. Hai detto no anche ai piccoli ripieghi, agli accomodamenti minimali, anche quando ti avrebbero alleviato dolori e dispiaceri. Per questo oggi io chiedo il tuo perdono per averteli proposti “per il tuo bene” e con profonda incolmabile saudade ti dico tutto il mio amore con questi versi scelti per te, perché…

Perché gli altri si mascherano ma tu no
Perché gli altri usano la virtù
Per comprare ciò che non si perdona
Perché gli altri sono pavidi ma tu no
Perché gli altri sono sepolcri imbiancati
Dove alligna strisciante la putredine
Perché gli altri tacciono ma tu no
Perché gli altri si comprano e si vendono
E ogni gesto rende sempre un interesse
Perché gli altri sono scaltri ma tu no
Perché gli altri si coprono le spalle
E tu vai a braccetto col pericolo
Perché gli altri fanno calcoli ma tu no».

Fernanda Toriello

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