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Liliana Toriello. Non una qualsiasi

“Ciò che ho fatto, non l’ho fatto per senso del dovere, l’ho fatto unicamente per senso civico. Non sono mai stata ascoltata tuttavia. I lucerini, pertanto, si ritrovano con la classe politica che meritano”.

LUCERA - Liliana è partita per l’ultimo viaggio. Con la schiena dritta. Come ha vissuto. Era sempre preoccupata di sentirsi dire che anche lei, per una volta, aveva sbagliato ed era venuta ad un seppur microscopico compromesso. Mai doveva accadere una cosa simile! Trovare un piccola macchia nel suo cammino terreno è impresa ardua, specie per coloro i quali, pur di non rassegnarsi ed arrendersi di fronte al fatto che neanche al microscopio ve ne fosse una, si sono dovuti aggrappare all’invenzione, alla calunnia più becera.

È sempre stata la donna giusta nel posto sbagliato. Giusta perché in ogni sua manifestazione, di pensiero, di militanza politica, ma anche in ogni suo gesto quotidiano, è sempre stata mossa da un unico scopo: la ricerca della giustizia ed il rifiuto dell’ipocrisia. Obbediva ad un imperativo morale, categorico ed assoluto. Non c’è stato mai il tempo di parlare di filosofia, perché quando si dialogava con Liliana l’argomento principe era sempre uno: l’impegno in politica.

Certo è che l’etica cui improntava il suo pensiero e la sua azione politica era scevra, appunto, da ogni forma di compromesso, spoglia di ogni apparenza e di ogni fine esteriore. Niente facile propaganda e niente rituali o celebrazioni. Men che meno religiose. Forma e sostanza. La ricerca forsennata della verità scritta nelle carte. Anche a costo di risultare antipatica, aspetto questo che non la preoccupava affatto ritenendo di essere nel giusto, come quasi sempre lo era. Antipatica sicuramente non lo era, anzi era amante della compagnia (pochi amici, quelli giusti) e del convivio.

Era scomoda. Questo sì.

Viveva nel posto sbagliato e non lo mandava a dire. Non solo e non tanto per l’ipocrisia dominante in un ambiente provinciale quale poteva essere quello piccolo borghese e bigotto della Lucera degli anni ‘60 e ‘70 quando difficilmente si tollerava che una donna potesse dire la propria in politica, professandosi per giunta marxista e laica. Una Lucera che ha rifiutato lo sviluppo e la crescita, specie quando Liliana, consigliere comunale, si vide presentare il lauto piatto di un assessorato che rifiutò rispondendo con la necessità, all’epoca dei fatti, di dare la stura – con la firma del sindaco – ai decreti attuativi di esproprio perché nascesse quel Piano di Insediamento Produttivo che la città non ha mai avuto. Non se ne fece nulla. Cadde l’amministrazione prematuramente perché “…in questa città si è sempre programmato il sottosviluppo” e… QUESTO PIP NON S’HA DA FARE! E Lucera si avviava inesorabilmente sul viale del tramonto. Cosicché i mali di oggi vengono da quelle (non)scelte che ancor oggi perdurano e che sembrano seguire una rotta inversa: ma è pura apparenza. I treni son passati e la città li ha persi tutti. Liliana lo sapeva e lo diceva.

Rimbombano ancora le sue parole durante una conferenza del 2012 quando, rivolto ad un imprenditore (non lucerino), disse: “Ma lei come si è sognato di venire ad investire in questo luogo?”.

I più superficiali ritenevano che fosse semplicemente spigolosa.

Niente affatto.

Era solo molto severa, prima di tutto con se stessa, quindi con gli altri. E non aveva tutti i torti.

Indimenticabili le sue parole pronunciate durante uno degli innumerevoli dibattiti sull’inquinamento e conseguenti danni alla salute: “Queste cose le ho sempre dette e ritengo di aver fatto il mio…”. E qui una pausa, per prendere fiato, interrotta da un suggerimento del pubblico: “…dovere”.

“No, mi correggo: ciò che ho fatto, non l’ho fatto per senso del dovere, l’ho fatto unicamente per senso civico. Non sono mai stata ascoltata tuttavia. I lucerini, pertanto, si ritrovano con la classe politica che meritano”.

Parole che sferzano più di una frusta, come spesso avveniva con Liliana. Una precisazione che chiarisce quale fosse la sua principale se non unica aspirazione: essere cittadina nel senso più alto e solenne del termine, sul modello dei cittadini della Magna Grecia a lei tanto caro, sia per retaggio storico-geografico ma, anche, per la formazione ricevuta negli anni del Liceo Classico ricordati sempre con grande nostalgia ed affetto. Quella Grecia che aveva deciso di raggiungere alcuni anni fa, per lasciare una città ormai troppo malata e che fa ammalare. Poi scelse Malta, anzi un’isoletta – Gozo – che descriveva come un sogno, con voce quasi infantile ed innocente. Luoghi – come Comino – dove fu girato il film “Laguna Blu”. Ironia della sorte proprio quando, felice (non di lasciare Lucera, però, ma quel che Lucera ormai non poteva più essere), preparava il trasferimento, scopre di avere dentro “quella bestia”. E Lucera, quella Lucera che avrebbe voluto più “civica” e meno asservita ai poteri forti, la condannava a restare.

Sì, cittadina di una polis, di una città che però non c’è. Perché Lucera non è mai diventata una città. Anzi.

Questo il suo cruccio più grande.

Questa la ragione dell’asprezza dimostrata in talune sue uscite pubbliche. Un’asprezza derivante dalla consapevolezza di non essere ascoltata, come spesso accade a chi dice cose profetiche.

Ciò che le risultava inaccettabile e che combatteva con maggiore fermezza (attirandosi le antipatie dei benpensanti e degli ipocriti moralisti di cui questa città è piena zeppa) la constatazione della pochezza di taluna politica e, al contempo, la meschinità di un elettorato incapace di tenere la schiena diritta di fronte ai “padroni della città”, come spesso li definiva. Ascoltarla raccontare della sua giovinezza, del suo mondo politico, della sinistra-sinistra (quella vera), della grande esperienza con il movimento “La Rete” e di Leoluca Orlando (oggi sindaco di Palermo, come lo è stato più volte) e di cosa significhi “fare politica” e “rete civica” era come trovarsi a vivere una fiaba in una Lucera cruda e decadente. Negli ultimi anni, d’inverno, la vedevi avvolta in uno scialle fatto a mano, una figura imponente che ricordava tanto Miss Marple e la sua disarmante analisi, la sua ricostruzione della scena del delitto. Un giallo che vedeva sempre la stessa vittima: Lucera.

Molti ricordano la sua ricercatezza, il suo gusto nell’arredare gli interni. Si dedicava alla sua “Erboristeria Svizzera” (un imbecille sfrontato, intriso di cultura rozza, frustrato, si permise di chiamarla “bottega in cui vende origano”) nata negli anni ’80 nella famosa “Stretta di Ciacianella”, poi traferita in un ampio locale di via San Domenico (luoghi in cui ci si immergeva come in un romanzo del Novecento) fino alla piccola “bomboniera” sempre di via San Domenico.

Unica ad urlare a squarciagola la parola “mafia”“…che non è solo quella che spara e uccide” – ed a denunciare il sistema mafioso, nel silenzio dei media (asserviti ai padroni, come ella spesso denunciava), ma soprattutto nell’indifferenza, per lei tanto dolorosa, dei cittadini. Omertà, come tecnicamente si definisce.

Liliana poteva permettersi questa scomoda missione censoria, come una Vestale della politica cittadina, grazie all’investitura che le proveniva dalla propria stessa esistenza. Immune da macchie, una spanna su tutti, per dirittura morale e per formazione culturale e politica.

Mai compromessi con niente e con nessuno.

Neanche con la propria malattia, vissuta con estrema dignità e coraggio. Qualche giorno prima ci siamo sentiti per telefono e raccontava orgogliosa e come se niente fosse le cose di cui parlava volentieri da una vita: società civile, politica, inchieste…

Fanno ridere taluni omuncoli, che Sciascia avrebbe definito “mezzi uomini” se non “piglianculo” i quali, in ossequio ai capricci dei padroni o forse per spontaneo servilismo, tentarono di mettere all’angolo Liliana, cadendo essi stessi nel ridicolo con i loro tentativi di ostracismo, del pettegolezzo e della calunnia.

Fanno ridere coloro che con Liliana non avevano più un minimo contatto dai tempi de “La Rete” e che con quel movimento hanno anche costruito le proprie fortune; coloro che ad ogni suo convegno si guardavano bene dal farsi vedere o dal raccontare le sue denunce. Coloro che credono di vivere ma che muoiono ogni giorno annegati nell’oceano dell’ipocrisia.

Meritano il nostro disprezzo e la nostra compassione, non già l’odio. Come ci fu detto l’odio è pur sempre un sentimento, sia pure distruttivo. Macchiarsene o sprecarlo, a seconda dei punti di vista, con delle mezze cartucce sarebbe estremamente futile.

Si dice che nessuno è insostituibile, ma non sarà facile sostituire Liliana.

Lucera – che, quando era in vita, non l’ha mai apprezzata come avrebbe dovuto – potrebbe, ora che non c’è più, doverla rimpiangere amaramente.

Ciao, Liliana, da noi miseri apprendisti-cittadini.

Roberto Notarangelo – Ettore Orlando

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