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Ristrutturare Foggia, ma non con l’assessore «barese», di Massimo Levantaci

La rete delle professioni tecniche della provincia di Foggia sbatte la porta. «Non ci saremo», rispondono all’unisono all’assessore ai Lavori pubblici e alla Rigenerazione urbana, Giuseppe Galasso, che li ha invitati per domani 15 aprile 2024 al tavolo tecnico sulle Ristrutturazioni edilizie che farà il punto sull’applicazione a Foggia della legge regionale 36 del 2023, strumento di programmazione della città che richiederebbe, appunto, una pletora di pareri e di analisi per armonizzare gli interventi.

Non si può tuttavia non notare in quella risposta (salvo ripensamenti dell’ultimora caldamente auspicati da Palazzo di città), una malcelata punta di sdegno nel diniego dei presidenti della Rete delle professioni tecniche che sembra mettere nel mirino l’assessore ai Lavori pubblici, il «barese» Giuseppe Galasso. Gli accenti di oggi sono, infatti, assai simili al disappunto di cui si fece portavoce qualche mese fa il presidente degli Architetti, Francesco Faccilongo, a seguito dell’annuncio della sindaca Episcopo di nominare uno degli assessori di punta della giunta Decaro in capo a un settore storicamente strategico per gli equilibri politico-amministrativi negli ultimi trent’anni in città. «Un’offesa per i professionisti foggiani, come se tra di noi non ci fosse qualcuno in grado di assumere quell’incarico», fu la spiegazione stizzita.

Oggi quel «no» diventa ancor più rumoroso e si perpetua nella volontà manifesta di un “vedetevela da soli” che sa molto di linguaggio neoborbonico in un Sud immutato e immutabile. Come se in fondo fosse in gioco solo la resa dei conti della Rete delle professioni nei confronti di Galasso e non i destini incrociati di una città che ha bisogno di andare molto oltre certe logiche, sulla vicinanza o l’appartenenza a un metodo di lavoro che poggia le basi sul confronto preventivo prima del passaggio in consiglio comunale (peraltro non obbligatorio a norma di legge).

La «politica del mattone» di qualche decennio fa nasceva all’insegna della santa alleanza tra gli amministratori dell’epoca e i costruttori che andavano per la maggiore in città negli anni della Grande ricostruzione edilizia tra i 60/70. Una pianificazione anche un po’ disordinata, che fece volare l’economia dei cantieri e favorì un assetto urbanistico disconnesso con alcune periferie, se pensiamo alle costruzioni sorte fin sulla superstrada di Candela e a ridosso della statale 16 lungo via San Severo (per citare gli ultimi interventi).

Un ceto economico intorno al sistema delle costruzioni dal quale Foggia non fa eccezione, rispetto alla gran parte delle città italiane dove c’era da ricostruire negli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Le accelerazioni urbanistiche di quartieri satellite come il Cep, Candelaro nascono all’insegna di un’emergenza sociale (il bisogno di nuove case) che ne ha tuttavia determinata un’altra dovuta all’isolamento e una certa gentrificazione delle masse dal centro alla periferia estrema. Oggi si vuole immaginare un futuro edilizio sperando nella riduzione o correzione di certe storture, le ristrutturazioni intese dalla legge predispongono allo studio di una nuova conformazione ad esempio dei centri storici cittadini e all’eliminazione di alcuni vergognosi “ghetti” proprio nel cuore della città (i quartieri settecenteschi dietro la chiesa delle colonne, le baracche in via Ascoli gli esempi più eclatanti nella foto).

Non si vuol credere che il rifiuto dei professionisti foggiani all’invito dell’assessore «barese» (ma residente a Foggia e ingegnere in aspettativa della sede Anas foggiana, anche quando sedeva nella giunta Decaro) sia dettato ancora da ragioni di ordine etnico/campanilistico. Per favore, si trovi un’altra spiegazione più plausibile se proprio non si vuol andare a quel tavolo. Ma c’è ancora tempo per un ripensamento, i foggiani non lo capirebbero.

Massimo Levantaci
massimoilblog.it

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