Sussurri e grida spaventano, certe etichette incutono timore. Foggia «città della quarta mafia» è un marchio devastante che allontana investimenti, interessi, capitali, migliaia di giovani. E ora rischia di far scoppiare il pallone: chi prenderà il testimone di Canonico nel Calcio Foggia? Urge un’operazione-immagine, la giunta Episcopo dovrebbe pensarci. Cominciando a mostrare gli artigli: il comune dovrebbe citare in giudizio chi coniò, pare casualmente, quella citazione ripresa poi al volo da politici, prefetti, istituzioni, magistratura a volte anche a scopi strumentali per costruirci sopra carriere e gratificazioni. È in forza di quel distintivo che oggi molti scappano al solo pensiero di poterci mettere piede, non se la sentono proprio di venirsi a mischiare qui anche soltanto sulla base di un sentito dire. È una maledizione quel timbro che secondo quanto registriamo da commenti in libertà di imprenditori e stakeholder locali spesso in forma anonima (perché parlarne è diventato un tabù), avrebbe allontanato investimenti e capitali quasi tutti di natura squisitamente industriale. Ad esempio non si contano più i gruppi (tra di essi anche qualche speculatore, per questi ovviamente nessun rimpianto) che vorrebbero insediarsi nell’area portuale di Manfredonia con i finanziamenti del Pnrr ma poi ci ripensano e cambiano zona. Nell’area industriale di Foggia il nuovo casello sull’A14 si diceva che avrebbe agevolato la viabilità e sviluppato una linea di collegamento per nuovi investimenti, ma di imprese che bussano neanche l’ombra e nel frattempo l’estensione urbanistica (circa seicento ettari) reclamata dal consorzio Asi resta un concetto astratto.
Ma ora ci penserà il pallone ad amplificare il dramma di una realtà schiacciata dalla retorica criminale. La trattativa con gli “americani” di Canonico è saltata sul più bello e forse non sapremo mai il perché. Ma possiamo intuirlo: solo un caso che l’imprenditore barese, il giorno dopo, abbia parlato di «clima tossico» in città? Il calcio è il nervo scoperto delle tensioni sociali, nonché il luogo dell’anima di tanti foggiani. È un’industria ormai a tutti gli effetti, un business del quale Foggia in forza della sua ultracentenaria storia (11 campionati in A, 27 in B) dovrebbe vantare una linea di credito privilegiata. E invece assistiamo da decenni ad aste miserrime per aggiudicarsi i resti di una società scaraventata per ben due volte in meno degli ultimi dieci anni (2012 e 2019) nel caotico suk della serie D e per due volte miracolosamente tirata fuori dopo un solo anno senza aver mai vinto il campionato sul campo. E ora rischia di finirci un’altra volta se prevarrà la linea sparagnina di chi crede di poter «azzerare e ripartire», forse confidando che lo stellone ricompaia una terza volta?
Racconta un vecchio presidente, mai staccatosi del tutto da una realtà che ha imparato ad apprezzare (pur con tutti i suoi problemi) di aver intercettato un magnate del calcio moderno – di quelli che oggi animano a suon di miliardi le più prestigiose piazze del calcio nazionale (Milan, Inter, Bologna e ora anche la piccola Como) – che gli avrebbe proposto di seguirlo in una nuova avventura calcistica. Alla risposta “prendi il Foggia, lì c’è passione, blasone e pubblico fisso allo stadio”, il magnate si sarebbe disimpegnato così: «Mia moglie non ne vuole sapere e anch’io…».
Rassegnarsi a tutto questo sarà come morire, non tocca solo alle istituzioni fare la loro parte. Anche i foggiani comincino a tirare fuori l’orgoglio, se non vogliono continuare a ballare sul Titanic che affonda…
Massimo Levantaci
massimoilblog.it