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Franco Scepi, una delle più grandi personalità del firmamento culturale lucerino

Come ogni agosto, dal 1987 a oggi, anche quest’anno l’illustre maestro, attore, regista, architetto scenografo, fotografo e artista creativo di origini lucerine Franco Scepi è giunto da Piacenza (dove risiede) nel cuore della sua terra natìa, Lucera, per trascorrervi un mese circa all’insegna del relax ma anche di impegni culturali. Scepi fu definito dal critico d’arte, pittore e filosofo triestino Angelo Eugenio Dorfles, un inventore polivalente, ma, aggiungiamo noi, duttile e versatile, una fonte pura di conoscenza per la sua profonda esperienza culturale e professionale, iniziata a soli quattordici anni quando espresse in famiglia il desiderio di diventare un attore. Iniziò giovanissimo a voler conoscere il mondo, le sue bellezze e i suoi misteri. E di cose belle Franco Scepi ne ha fatte davvero tante.

Non basterebbero pagine intere per raccontare ciò di cui è stato capace. Il suo nome è legato maggiormente all’opera mondiale denominata “L’uomo della pace”, di cui anche a Lucera ne custodiamo un monumento, un murales e un dipinto un tempo collocato in cattedrale. In pochi sanno, però, che tale capolavoro, nato nel 1977 e chiamato così per auspicare la fine della Guerra Fredda – opera peraltro ispirata a Papa Wojtyla a quel tempo Arcivescovo di Cracovia – nel 1996 divenne simbolo dei World Summit of Nobel Peace con tanto di sottoscrizione ufficiale dai Premi Nobel per la Pace nel 1999 a Roma, in Campidoglio.

Molti non sanno, peraltro (forse nemmeno lo stesso artista), che il nome di Franco Scepi è citato, insieme a numerosi personaggi del mondo della comunicazione, nel "Dizionario del Grafico" curato a suo tempo da Giorgio Fioravanti (edito da Zanichelli). "Scepi, Franco (Lucera, Foggia, 1941). Grafico, scenografo e pubblicitario italiano – si legge –. Dopo un esordio come scenografo al Teatro alla Scala e come grafico, si occupa prevalentemente di cinema e televisione. Nel 1984 il suo video musicale Sfera è selezionato dalla giuria della Biennale di Venezia; nello stesso anno inizia la collaborazione con Campari, per la quale curerà alcuni degli spot televisivi più riusciti, tra cui Campari Soda, vincitore nel 1987 del Tipps Ice Award a New York. Comproprietario, con Lino Casa e Claudio De Micheli, dell'agenzia Produzione di Immagini, è autore di alcuni manifesti cinematografici, tra cui quelli per L'uomo di marmo di Andrzej Wajda (1978) e Il diritto del più forte di Rainer Werner Fassbinder (1980), che hanno ottenuto riconoscimenti internazionali".

Ebbene si, Lucera può vantare, orgogliosa e fiera, i natali di un grande uomo che in ogni suo fare ha sapientemente calibrato talento, creatività, genialità, acume, estro e tanto altro ancora. Tra pochi giorni, dopo la pausa estiva, Franco tonerà a Piacenza e noi della redazione del Frizzo abbiamo colto l’occasione per salutarlo e fargli qualche domanda alla presenza del Presidente dell’Associazione culturale This is Art, Pasquale Minafra, che ringraziamo per aver organizzato l’incontro.

D. Caro Franco, ai giorni d’oggi, in un tempo in cui non c’è più la Guerra Fredda ma ci sono altre sanguinose guerre che attanagliano il mondo intero, la tua opera “Man for peace” è da considerarsi sempre attuale?

R. «Nel tempo le immagini diventano simboli. Il valore del simbolo è molto potente e più viene comunicato, più acquista potere. Se parliamo della croce, del rito, la Chiesa porta avanti questa ritualità nella reiterazione, nella continua ripetizione; senza la reiterazione viene meno il messaggio. Io dico sempre, quest’opera è un simbolo contemporaneo, ma va ricordato il suo percorso e la sua finalità. All’azione della pace deve corrispondere la reiterazione del simbolo della pace. La simbologia cresce nel tempo, ecco perché ho collocato l’opera a Bologna, a Roma e in altre parti, ma è ancora poco. Bisognerebbe agire molto di più nella divulgazione del simbolo».

D. Quindi bisogna considerare quest’opera prima come simbolo e poi come opera d’arte?

R. «Bisogna considerare l’opera, creata si come opera d’arte ma che poi diventa simbolo. La forza dell’opera non sta nel considerarla bella o brutta perché è un simbolo che ha trascorso 27 anni. Io vorrei che questa simbologia proseguisse, andasse avanti, che si allargasse anche se è abbastanza complicato poiché al giorno d’oggi abbiamo quello strumento lì (il cellulare, lo smartphone) che distrugge tutto e macina e distrugge ogni forma di cultura. A Lucera questa simbologia c’è, a prescindere se si dica che è bella o brutta, ha un valore storico e va reiterata in molti modi».

D. Ogni volta che guardi il monumento in Villa, inaugurato nel 2014, a cosa pensi?

R. «Penso all’impegno che è stato profuso e sono felice che a Lucera un briciolo di concetto di pace ci sia per chi lo cerca. Sono un po’ arrabbiato perché hanno tolto in cattedrale il quadro che rappresentava il bozzetto del dipinto grande, che oggi è in Vaticano, intitolato “Karol Wojtila, l’uomo della pace”. L’opera non voleva essere un simbolo culturale ma di culto: unisce arte, storia e religione. È chiaro che se il bozzetto fosse stato presente ancora in cattedrale ci sarebbero dei parallelismi più frequenti. Con l’allora Vescovo Mons. Francesco Zerrillo, era stato collocato appunto in cattedrale ma, quando a Mons. Zerrillo subentrò il nuovo Vescovo Mons. Domenico Cornacchia, su proposta dell’allora parroco, il bozzetto venne spostato nel Palazzo Vescovile e al suo posto venne collocata una fotografia che ritraeva Giovanni Paolo II inginocchiato davanti alla Madonna e il parroco stesso. Ma questa è una cosa grave poiché, sul discorso che stiamo facendo noi, in chiesa avrebbe fruito della fede che una persona ha nei confronti di una simbologia, in quanto luogo sacro. Se lo collochiamo altrove diventa cronaca».

D. Franco, mentre lasci Lucera per tornare a Piacenza, quali sono le sensazioni che porti con te?

R. «Per me è un po’ un’abitudine lasciare Lucera. Non è che io ci abbia vissuto così intensamente da poter avere questo attaccamento. Il mio legame è dovuto più che altro alla mia famiglia antica, dei miei nonni, dei miei bisnonni, non alla mia vita personale. Vivo un po’ di questo mio DNA, ma ovviamente la mia vita è stata un po’ da tutte le parti».

D. So che amavi fare delle passeggiate lungo le stradine e i vicoli di Lucera. Quanto ti mancherà tutto ciò?

R. «Sì, mi mancano, ma mi mancano anche altre cose, ad esempio la gioventù di Lucera che adesso non c’è più con cui si usciva insieme (ovviamente io avevo un’altra età, quarant’anni in meno) e tutta l’atmosfera di allegria delle notti estive. Mi manca la campagna, il suo profumo, il vento, l’odore della trebbiatura, il sapore del grano che ti arriva. La mia famiglia aveva la campagna in Località Le Cruste, avevo circa venti ettari di terreno con una casa anche molto bella; poi è stata venduta ma attualmente in parte non è stata modificata. Ricordo quando mi fermavo con gli operai a mangiare sotto un ulivo, ricordo un vigneto basso che poi mia madre fece sostituire con grano duro e tutto intorno c’erano ulivi e si faceva l’olio per il fabbisogno personale. Porto a Piacenza il sole della Puglia ma soprattutto l’aria, tutte sensazioni che voi che abitate a Lucera sentite e che forse non apprezzate più di tanto».

D. Franco, anche tu sei socio della nostra Associazione This is Art. Secondo te questa piccola ma bellissima realtà del nostro territorio promuove la cultura, nel senso di “coltivare” sapere come da significato del verbo latino “Coleo”?

R. «La cultura è una parola vaga, se vuol dire anche seminare, quello l’Associazione lo fa. Nella semina che viene fatta, e questo mi sembra che sia il suo obiettivo, si raccoglie la maggior parte delle persone poiché un evento è importante se ci va molta gente. La cultura che eleva l’immaginario è molto diversa poiché non è quella che accoglie il più possibile, è quella che seleziona. This is Art, così come è nata, è una forma di aggregazione interclassista più popolare da unire attraverso delle occasioni di incontro. Cioè tenere unite le persone come fosse una famiglia amicale nella quale vedersi, dialogare, stare uniti, progettare cose che più o meno possano essere interessanti per i più e unire molti elementi più popolari che culturali».

E chiudiamo questo incontro con le parole del Presidente Pasquale Minafra che di Franco Scepi dice: «Un personaggio di tale ricchezza culturale e sociale come quella del maestro Franco Scepi è la nostra stessa ricchezza. Più di una volta ha dato, nell’arco di questi anni, informazioni, consigli e ha considerato Lucera una sua patria. Come il maestro Franco diceva, di arte contemporanea non abbiamo granché nella nostra città e lui ha cercato di metterci sulla buona strada. Possiamo parlare del suo percorso di vita con la sua esperienza da New York in giro per il mondo con tanti personaggi. Ha cercato di dare validi apporti alla nostra Associazione This is Art e a chiunque avrebbe avuto il piacere di ascoltarlo (più volte abbiamo fatto delle riunioni e via discorrendo) ma, nell’arco di questi dieci o quindici anni, quello che siamo riusciti a fare, è stato il simbolo “L’uomo della Pace” che vuole essere un contributo di grande spessore poiché rientrava in un percorso di culto. Quindi anche noi oggi possiamo vantarci di avere un simbolo a livello mondiale. Si sarebbe potuto parlare di pubblicità visto che il Maestro è un grande inventore nel mondo della pubblicità ma non abbiamo potuto fare molto come piccola Associazione. Però, qualsiasi cosa lui ci abbia trasmesso, è stata sempre di massima rilevanza. Però tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare».

Ringraziamo il maestro Scepi per la sua disponibilità augurandogli ogni bene con l’augurio che torni presto a Lucera.

Deborah Testa

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