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Dalla parte di Ettore, di Adelia Mazzeo

Sostenni l'esame di maturità classica un pomeriggio torrido di quelli che caratterizzano la mia dolceamara città. Ad accompagnarmi solo la mia fedelissima, adorabile compagna di banco. Papà regolarmente al lavoro, mamma ad accudire mia nonna; allora “badante" non era ancora un sostantivo. All'uscita l'abbraccio liberatorio con la suddetta compagna di banco, niente fiori, niente stappo. Ottenni un voto più che dignitoso e ne fui contenta. Fine della storia.

In quegli anni i “capolavori" si ammiravano nei musei, il vocabolo insomma si usava associare ad altri contesti, ritengo più adeguati. Conseguire un sessanta costituiva la massima aspirazione, oggi è il minimo consentito per superare l’esame. Non esistevano le norme relative alla privacy, l'affissione dei quadri era pubblica ed era un bel momento di confronto, di condivisione.

Il Ministero si chiamava solo dell'Istruzione e non dell'Istruzione e del Merito, postilla che trovo personalmente odiosa, in quanto antidemocratica, se non proprio offensiva.

Si mira alle eccellenze: a loro, se autentiche – e ce ne sono, per carità – va tutto il mio rispetto, la mia stima, il mio orgoglio di prof., sia chiaro.

Ma gli altri? Tutti gli altri? I “normali"? E, perché no, i più deboli?

Personalmente ho sempre provato maggiore soddisfazione nel far accendere la scintilla della passione culturale a queste ultime categorie di studenti. Ho sempre detestato, ora posso dirlo, il primino della classe che alza la mano sovrastando il compagno in difficoltà. Si brilla di luce propria, non sulle debolezze altrui: è da vigliacchi.

La scuola, per definirsi tale, deve insegnare a vivere, a prescindere dal merito. Se poi c'è anche quello, ben venga, ma non deve essere la priorità.

Del resto, tra Achille ed Ettore, ho sempre preferito Ettore. Perché Achille non accetta patti, è arrogante, e peraltro gioca sporco.

Adelia Mazzeo

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