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James Senese. Addio alla leggenda

A musica mia che r’è? Coltrane che se n’è agghiut...
È ’o male che mi fa restà dentro,
tu nun ’o può capì.

C’è un dolore che ha il suono del sax.
Un lamento dolce e feroce, che vibra tra i vicoli di Napoli
e risuona fino all’altra sponda del mondo.
James Senese non se n’è andato davvero —
ha solo cambiato tonalità.
Adesso suona tra le stelle,
dove il ritmo non finisce mai.

Io sono figlio di un soldato americano nero e di una donna napoletana.
Non sapevo chi fossi, né dove affondassero le mie radici.
Poi ho capito: sono entrambi.
Sono il suono di due mondi, il punto d’incontro tra il dolore e la bellezza.
Mi chiamavano “’o nir”, come se fosse un marchio.
E invece io l’ho preso, l’ho alzato al cielo,
e ne ho fatto un nome d’arte, un segno di libertà, un ritmo che non muore.

Essere nero, per me, è portare dentro una storia di lacrime e di luce,
di catene spezzate e di note improvvisate.
Essere napoletano è respirare il mare,
è sapere che ogni nota nasce da una ferita che diventa canto.
E io sono tutto questo: un nero napoletano.

Non è un problema, è la mia verità.
È sapere che la pelle parla anche quando stai zitto,
che la musica racconta quello che le parole non sanno dire,
che dentro un solo fiato si può contenere un mondo intero.

Sono figlio del sangue e del mare.
Il sangue che pulsa di memoria,
il mare che custodisce le voci di chi è partito e non è più tornato.
In me c’è Napoli che ride e piange,
c’è l’Africa che resiste e danza,
c’è l’America che grida e spera.
E nel mezzo, la mia musica — la mia vita —
che tiene tutto insieme, come un abbraccio che non si spezza.

James Senese non era solo un musicista.
Era un linguaggio.
Era il suono della verità, quella che brucia e che salva.
Era un ponte tra le anime,
tra chi ha sofferto e chi ha imparato a vivere.
Era un uomo che ha fatto della diversità la sua bandiera,
e dell’identità la sua rivoluzione.

Oggi, il suo sax tace solo in apparenza.
Perché ogni nota che ci ha lasciato
continua a vibrare in chi ha saputo ascoltare.
E noi lo salutiamo così —
con rispetto, con gratitudine,
con la certezza che certe anime non muoiono mai.

Sit tibi terra levis, James.
Che la terra ti sia lieve,
e che il cielo suoni per te l’eterno assolo della libertà.

Eduardo Gemminni

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