L'asino e il vecchio pastore
di
Fedro
(08.02.2012)
Quando cambia il governo, molto spesso per i poveracci non cambia nulla se non il modo d'essere del padrone. Che sia vero lo indica questa piccola favoletta.
Un vecchio pauroso faceva pascolare in un prato il suo asinello. Atterrito dall'improvviso gridare dei nemici, esortava l'asino a fuggire per non lasciarsi prendere. Ma quello, senza fretta: "Dimmi, credi che il vincitore mi metterà addosso due basti?". Il vecchio rispose di no. "Allora, purché mi si carichi di un unico basto, cosa mi importa chi devo servire?".
Commento
La favola qui proposta e che ha per autore Fedro, il favolista per antonomasia del mondo latino, è un efficace "exemplum" della denuncia, messa in atto dagli scrittori d'età imperiale, nei confronti di una società in cui i ceti subalterni sono soggetti ai potenti senza speranza d'emancipazione. In essa si riscontra una visione pessimistica della vita politica, soggetta a continui rivolgimenti e cambiamenti di governo, che non corrispondono affatto ad una migliore condizione sociale del singolo "civis". L'intento di Fedro infatti non è mai quello di attuare un progetto di riforme, bensì quello, più amaro, di una rassegnata accettazione delle presenti circostanze. Il lettore avrà sicuramente notato la presenza, nel racconto, di una morale, la quale, in tal caso, è collocata nell'incipit; per questa ragione, è definita «promitio». Essa rende esplicito il significato reale di ciò che si narra, invitando ad una diligente riflessione sul contenuto del brano. I personaggi che vi interagiscono, l'asino ed il vecchio pastore, sono l'emblema del ceto inferiore: a testimoniare ciò sono pochi ma pregnanti elementi, come la paura del pastore, da cui si evince tutta la sua impotenza nei confronti del più forte e, subito dopo, il suo terrore, causato dal sopraggiungimento inaspettato dei nemici. All'atteggiamento inquieto del pastore fa da contraltare la rassegnazione, all'apparenza serena, della bestia da soma, la quale si rifiuta di scegliere la breve via della fuga come unica possibilità di salvezza, anzi è «senza fretta». Non va tralasciato neppure il termine polisemantico che conclude il breve discorso dell'animale. La scelta del verbo «servire» infatti non è lasciata al caso, bensì denota l'unica via che i "sudditi" possono seguire: quella della perfetta obbedienza al dominatore, di qualsiasi sorta esso sia. Infine, è sicuramente apprezzabile la concisione con cui Fedro comunica il proprio messaggio, aspetto, questo, che dovrebbe essere più spesso preso in esame da chi invece preferisce "servirsi" della prolissa ampollosità di un bel discorso fiorito. Ebbene, proprio in virtù di tale principio, l'autore avrà senza "ombra" di dubbio "lustrato" con maestria gli intelletti dei lettori, sempre che questi ultimi si siano lasciati guidare in questa accurata operazione.
Greta Notarangelo
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